Con questo articolo, voglio inaugurare una nuova fase della mia attività dentro ATCP finalizzata alla sensibilizzazione dei partecipanti su temi di primaria importanza per tutti attraverso il dialogo e la collaborazione con gli attori principali di Costa Paradiso. Sebbene con Giorgio Zorzi, fondatore del blog SecondoZorro, ci siano state a più riprese polemiche e prese di distanza, entrambi conveniamo di doverci lasciare alle spalle questo passato per concentrarsi sulla ricerca di quel minimo comune denominatore che possa essere la base per una speranza di cambiamento per Costa Paradiso. Io credo che non dobbiamo rassegnarci ad assistere inermi al declino di un posto che amiamo e che anzi, riunendo le idee condivise, proponendo una governance nuova, superando definitivamente le persone e le idee che per decenni ci hanno amministrato con questi risultati, possiamo ridare speranza a tutti i partecipanti. Dobbiamo credere che le cose possano cambiare, dobbiamo credere che le cose possano essere affrontate e risolte, dobbiamo crederci e dobbiamo provarci. Ringrazio Giorgio Zorzi per aver condiviso insieme a me il pensiero e l’idea che parlarsi è meglio. Avanti su questa strada.
Stefano Angeli
Per tratteggiare l’esperienza di questo Cda, bisogna ricorrere a tinte chiare, grigie e scure; con le prime a segnare il percorso d’allontanamento dal passato e le altre a marcare le contraddizioni, le occasioni perdute e i passaggi a vuoto o in controtendenza rispetto alle aspettative suscitate dai risultati dell’assemblea del 13 aprile 2013. Alla fine del percorso ciascuno tirerà le somme e giudicherà quali sono i colori prevalenti. Noi qui forniremo degli imput che potranno aiutare a discernere.
Ad esempio, è nostra opinione che molte delle attese del 13 aprile erano eccessive poiché quel voto, come si è poi dimostrato, non aveva spianato nessuna strada. La coalizione vincente si dimostrò da subito senza un sufficiente grado d’amalgama a discapito sia dell’operatività e sia per quanto concerne i rapporti con gli enti pubblici. Quello vincente era un cartello elettorale ( in cui coabitavano formazioni ed uomini che mai avrebbero rinunciato alla propria visione delle cose) e tale si è confermato alla prova dei fatti. E’ bastata qualche riunione. Se l’operatività ne ha immediatamente risentito, la diversità di posizioni ed opinioni ha fatto il resto, sotto forma di ulteriori dimissioni (es. quelli della componente Atcp) che hanno concorso a rompere l’equilibrio politico, già di per sé delicato e precario, tra idealità nuove e retaggi del passato. Una deriva “mono-colore” o “mono-pensiero” che ha finito per accettare le dimissioni, forse per ridisegnare un consiglio più snello ed “organico” agli orientamenti di chi restava nel Cda.
Dopo trent’anni di governo di una “casta”, il sindaco di Trinità D’Agultu e Vignola aveva sì favorito il “cambio della guardia” in Comunità e ritirato i rappresentanti dell’ente dalla gestione consociativa del villaggio, al prezzo però di una spaccatura in Giunta forse costatale una progressiva perdita d’autonomia propositiva, che avrebbe pesato negativamente. E già a qualche mese dall’insediamento, l’organo amministrativo del villaggio registrava le dimissioni di Bianca Patitone e di Dario Negri. Motivazioni: della Patitone si è saputo poco o nulla; di Negri abbiamo letto giudizi poco lusinghieri sulle capacità d’innovare del Cda (che trovarono conferme nei fatti), in seguito alternati ad una difesa a spada tratta dell’organo amministrativo ogniqualvolta è stato “attaccato”.
Tutto ciò premesso, parlare di svolta in direzione di una discontinuità col passato è fuori luogo. Tenuto presente che il Collegio dei rappresentanti, con appena un paio di inserimenti nuovi, è stato confermato nella versione 2011, la “governance” uscita il 13 aprile è stata una delusione. Un fragile ponticello tra ieri e domani; o, se si preferisce, un traghettino che non ha saputo (o potuto) liberarsi di tutti gli ormeggi per prendere il largo. Lo testimonia il fatto che non sia riuscito a darsi un assetto amministrativo e tecnico efficace per evitare rincari ai partecipanti ed ammanchi di cassa, per dare un contenuto dignitoso ai bilanci, per realizzare anche gli interventi più semplici per una migliore fruibilità del territorio. Lo testimoniano l’intermittenza con cui ha informato. Lo testimonia il ritardo con cui ha deciso di schierarsi “ad adiuvandum” di chi, dopo quasi cinquant’anni, non vuole più essere “avente causa” del lottizzante e continuare a subirne gli obblighi ed i costi.
Naturalmente, sul piatto della bilancia va messo anche quanto di positivo è avvenuto. Sia pure a scartamento ridotto, col 13 aprile 2013 è cambiato, se non lo stile di governo, la prospettiva. Nel senso che è maturata nei partecipanti una maggiore sensibilità ai problemi del villaggio e la consapevolezza dei propri diritti; per la prima volta la Comunità ha accennato, sia pure timidamente, a staccarsi da “abbracci” ingombranti e controproducenti; per la prima volta si è preso a mano con serietà e determinazione la questione delle morosità, inaugurando criteri (da affinare) di maggiore eguaglianza e giustizia per tutti. Gli amministratori attuali su questo fronte si sono impegnati facendo pagare, o invitando a farlo (decreti ingiuntivi), chi fino ad ora non aveva pagato (e fin qui giusto intervento), ma nel frattempo si è creata una nuova fetta di morosità di tipo diffuso, (50, 100, 200€, cifre irrisorie che non giustificano un decreto ingiuntivo) che è un segnale della crisi economica che attraversa il nostro paese.
Qui peraltro terminano le giustificazioni e le note positive. Perché su tre snodi capitali, quali il rapporto con gli enti pubblici, la riforma di se stessa e la vicenda fognatura, la Comunità ha segnato il passo. E marcato la distanza maggiore dalle aspettative dei suoi elettori. Diciamo che:
per riformare se stessa, la Comunità non ha mosso un dito e non ha espresso indicazioni, assistendo in silenzio al dibattito che si è sviluppato all’esterno; per fortuna, la discussione sta ora approdando ad un qualche risultato, ma questo suo atteggiamento ha influito negativamente sull’organizzazione e sul funzionamento di uffici e servizi, sull’operatività di Cda e Cdr e nei rapporti interni ed esterni;
il Cda non è riuscito nell’intento di stipulare col Comune una convenzione integrativa che chiudesse onorevolmente col passato (in primis la lottizzazione), demandando al Tar la sola decisione su chi deve fare e pagare l’adeguamento della fognatura;
sulla fognatura stessa, la Comunità si è sostanzialmente attenuta alle decisioni delle gestioni precedenti e, segnatamente, ai deliberati dell’assemblea 2011, caricando i partecipanti dei costi di adeguamento di un’opera che, da convenzione, dovevano solo programmare.
Tra i principali responsabili di questa non “discontinuità” col passato è stato ripetutamente indicato il presidente Piergianni Addis. Non c’è dubbio che l’avv. Addis rappresenti la continuità di un establishment che ha segnato un’epoca di Costa Paradiso.
L’inerzia di cui al punto a) e il mancato accordo di cui al punto b), rappresentano perfette cartine di tornasole di una forma mentis consolidata, diffusa e trasversale di cui l’avv. Addis è solo un rappresentante; la quale, pur intuendo l’esigenza di svoltare pagina rispetto al passato, fatica a staccarsi da una visione di Costa Paradiso quale “repubblica autonoma” con riserva di decidere, tra l’altro, se e quando trasferire le urbanizzazioni realizzate al Comune e intanto di continuare a gestirle. Così saldando, nel rifiuto a rispettare precisi obblighi di legge, l’opportunismo consociativo di ieri alla propensione odierna a differire la chiusura della lottizzazione, con ciò che ne consegue.
L’esempio senza dubbio più eclatante di questo pensiero, riguarda le scelte che questo CdA ha preso dal 2013, quando si è insediato, fino ad oggi proprio sul tema della fognatura. Le opzioni per il CdA appena eletto erano due:
fare proprio il progetto, in linea coi precedenti CdA, continuandone l’iter amministrativo per l’approvazione;
sottoporlo prima a verifica tecnica e revisione alla luce delle numerose osservazioni sollevate.
Col parere contrario del solo vicepresidente d’allora, Ferdinando Mulas, il nuovo CdA decise per la prima ipotesi, con la riserva mentale di modificarlo una volta ottenuta l’approvazione dalla Regione Sardegna. In questa ottica venne dato l’incarico ad un professionista (l’ing. Giampiero Cassitta) di “validare” il progetto. In realtà - lo abbiamo appreso dallo stesso ing. Cassitta nell’assemblea dei Partecipanti dell’agosto 2014 – l’incarico si è tradotto, da un lato, nella cura degli adempimenti e delle integrazioni necessarie a completare l’iter di autorizzazione e di valutazione dell’impatto ambientale presso la Regione Sardegna (vedasi l’analisi idrogeologica del territorio), e, dall’altro, nella verifica della rispondenza del progetto alla normativa in materia ed al piano territoriale di lottizzazione. Così, l’ing. Cassitta ha rilevato numerosi punti di non conformità del progetto senza entrare nell’impostazione e nei contenuti tecnici dello stesso, producendo una sorta di chek list. L’annunciata relazione finale, data sempre per imminente, invece non si è mai vista. Non poteva andare diversamente, poiché il solo titolato a modificare il progetto è l’ing. Savi (progettista). Pertanto, la storia dell’ampliamento dell’impianto può essere così sintetizzata:
L’assemblea straordinaria del 28 maggio 2011 approva il progetto;
Il CdA eletto nella sessione ordinaria della stessa assemblea lo inoltra alla Regione per l’approvazione;
Il CdA eletto nel 2013 fa approvare dalla Regione il progetto senza nessuna modifica.
Lo stesso CdA affida ad un professionista l’incarico di curarne l’iter e di validarlo (nel senso di proporre una serie di modifiche al progetto dopo la sua approvazione dalla Regione);
L’incarico viene reinterpretato dal progettista sotto forma di una verifica di conformità;
Il progettista che ha firmato il progetto non accetta i rilievi indicati da Cassitta;
Il cerchio si chiude: il progetto originario è l’unico approvato ed è l’unico che ad oggi ha tutte le autorizzazioni per essere realizzato.
Di qui è scaturito l’equivoco, a cui molti sono stati indotti, di credere che le valutazioni di non conformità di Cassitta fossero applicabili su un progetto già approvato da tutti gli enti pubblici. Non è così: il progetto, se modificato, dovrebbe ripercorrere l’iter finalizzato alla riapprovazione. Sennonché, le suddette modifiche tecniche devono essere recepite ed effettuate dal progettista (Savi), su richiesta del committente stesso. Ma il progettista non avrebbe accettato i rilievi formulati del “validatore”, rifiutandosi di recepirli. Conclusione: per noi proprietari di Costa Paradiso potrebbe materializzarsi l’incubo di vedere realizzato un impianto fognario non “validato” e soprattutto non voluto in certe caratteristiche.
Eppure un filo logico collega tutto ciò. Il progetto fu approvato in una assemblea del 2011; la stessa assemblea che elesse il CdA che poi ha sostenuto, durante il suo mandato, il progetto di fognatura tanto criticato. Con questa chiave di lettura, è possibile dare la spiegazione dei motivi per cui il CdA pare avere imboccato la strada di realizzare direttamente l’opera, pur non avendo avuto un mandato in tal senso dall’assemblea straordinaria del 2011 (l’assemblea del 2011 ha deliberato l’approvazione del progetto ed i criteri di ripartizione delle quote). Constatate le difficoltà a tradurre in pratica gli interventi necessari ad eliminare i c.d. punti di non conformità individuati da Cassitta e non avendo alcuna garanzia, che, in una ipotesi di trasferimento del progetto al Comune, questo le attuerebbe, il CdA sembra avere deciso di fare da solo, facendosi(illegittimamente) imporre dagli Enti pubblici coinvolti nell’opera degli obblighi, che sono propri del Comune e non della Comunità.
Il CdA, quindi, si barcamenerebbe cercando di guadagnare tempo (forse per conoscere chi sarà il prossimo sindaco?), mentre si impegna pubblicamente con le istituzioni a dare seguito al progetto. Purtroppo, questo balletto avviene a nostre spese. Il CdA infatti, senza spiegarci cosa si va a realizzare, ci chiede di pagare il 20% del costo di un progetto che esso stesso dichiara sovrastimato. Tanto il bancomat è degli altri.
E potrebbe non essere finita.
Primo: non essendo stato risolto il problema della titolarità del depuratore e dei suoi reflui, i lavori oggi programmati dalla Comunità per metterlo a norma ed inseguire l’autorizzazione provvisoria allo scarico, che continua a sfuggirle, potrebbero non andare bene domani al gestore Abbanoa; e, pertanto, costarci altri soldi.
Secondo: Le criticità del progetto attuale sono tutte sul campo e le ricordiamo in sintesi:
impianto da 16 mila abitanti equivalenti, che a sua volta equivale a 1.000-1.500 potenziali nuove costruzioni; alla fine, potremmo ritrovarci con 4.000 abitazioni (contro le 2.107 previste nel 1967);
scarico in zona balneabile a 1.100 metri dal mare, contro i 2.000 di legge, lungo il cosiddetto Rio Sarrera che in concomitanza del massimo flusso dei reflui sarebbe al minimo della portata d’acqua;
finissaggio dei reflui su appena 3.000 mq mentre la fitodepurazione ne richiede di più, andrebbe fatta precedentemente allo scarico sul “Sarrera”, e le acque usate in prevalenza a scopo irriguo, di cui manca qualsiasi accenno ad una rete;
costi per l’ambiente, manutentivi ed elettrici elevati; per abbattere questi ultimi la Regione parla di impianti fotovoltaici la cui installazione, secondo pareri tecnici, risulterebbe comunque insufficiente alla bisogna.
Terzo: La mancata chiusura della convenzione di lottizzazione è stata oltretutto una iattura, per questi motivi:
ha duplicato costi per servizi (strade, acqua, reti elettriche ecc.) di pertinenza pubblica;
ha comportato costi per onorari, ricorsi alla Giustizia e consulenze, oltre che per l’ambiente;
ha compromesso lo sviluppo e falcidiato il valore dell’investimento immobiliare di tutti.
Quarto: Si rileva inoltre:
l’autorizzazione provvisoria agli scarichi del depuratore, scaduta da più di un anno, non è stata ancora concessa;
si manifesta la tendenza di ovviare alla “non cantierabilità” del progetto con l’attuazione per “stralci funzionali” di sue “parti coerenti” che però, in assenza della relazione del validante, si ignora quali siano (lavori sul depuratore a parte).
Pertanto, al di là ogni considerazione sulla sua legittimità o meno in rapporto ai ricorsi di Atcp pendenti al Tar e pur lasciando ai partecipanti massima libertà di comportamento, la richiesta di anticipare il 20% dell’importo complessivo del progetto configura un pagamento a “scatola chiusa”. Una beffa, dopo il danno: sarà l’ultima? Sarà l’ultima solo se si procederà celermente a convocare un’assemblea per eleggere una governance autorevole e in grado di assumere decisioni all’altezza dei compiti. Nessuno di noi vuole che si convochi una assemblea solo per nominare cinque consiglieri nuovi in ottemperanza all’art. 59, bisogna sposare le due esigenze e far risparmiare tempo e soldi ai partecipanti.
di Stefano Angeli (ATCP) & Giorgio Zorzi (SecondoZorro)