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  • Immagine del redattoreFerdinando Mulas

Chiarezza sul progetto della fognatura


Molti Partecipanti continuano a scriverci per avere aggiornamenti sugli sviluppi del progetto di ampliamento dell’impianto fognario ed, in particolare, sulla opportunità di pagare o meno le quote richieste dalla Comunità per far fronte ai lavori del primo lotto del progetto, avviati nello scorso mese di gennaio.

Confermando il suggerimento, dato nel settembre 2015, riteniamo che sia opportuno aspettare prudentemente l’esito del ricorso al TAR prima di procedere a qualsiasi pagamento riguardante il progetto.

Ci confortano in questa idea, anche le recenti vicende cui stiamo assistendo, come l’affidamento dei lavori, senza una vera gara d’appalto, ad una società priva dei requisiti minimi per l’esecuzione di opere, che hanno comunque valenza pubblica; le denunce sulle modalità di gestione del progetto, comparse sul sito Altervista/SecondoZorro; una lettera di contestazione, molto dura, indirizzata al C.d.A. dal progettista, ing. Attilio Savi; la sparizione, dal sito web della Comunità, dei documenti riguardanti la validazione e le relazioni e le controdeduzioni in merito dell’ing. Savi.

Insomma, ci sono sintomi evidenti che qualcosa non va, mentre i nostri rappresentanti in C.d.A. non ci aiutano a capire quel che sta succedendo, tantomeno a diradare le nebbie che si addensano sul progetto e che potrebbero celare sgradite sorprese.

Per dare delle coordinate utili ad orientarsi in questo ginepraio e valutare l’operato dell’attuale C.d.A., riteniamo utile riassumere brevemente i contorni generali del problema fognatura.

Nella lottizzazione convenzionata di C.P., l’obbligo di realizzare idoneo impianto fognario-depurativo a carico del lottizzante o dei suoi aventi causa era previsto solo per le c.d. abitazioni collettive, non per le case singole. In adempimento di tale obbligo convenzionale l’ISVITUR, che aveva acquistato dalla cooperativa lottizzante molti lotti ed aveva costruito vari villaggi, realizzò l’attuale impianto. Come previsto dalle convenzioni di lottizzazione, il 30 luglio 1992, l’ISVITUR cedette l’impianto in proprietà al Comune di Trinità. Quest’ultimo, nella stessa data, lo cedette in gestione alla Comunità, con l’obbligo che essa avrebbe provveduto a tutti gli oneri di funzionamento e di manutenzione, fino al 1 agosto 1995, senza nulla chiedere al Comune. Contestualmente, la Comunità assumeva anche l’obbligo di programmare il potenziamento della rete fognaria e del depuratore e di sottoporre il suddetto programma all’approvazione dell’Assemblea dei Partecipanti. Cosa che è avvenuta nell’assemblea del 28 maggio 2011, con l’approvazione del progetto redatto dall’ing. Savi, su incarico e a spese della Comunità.

Tale approvazione costituiva l’atto finale degli obblighi assunti dalla Comunità in merito alla fognatura e poteva costituire, finalmente, l’occasione per dare esecuzione al Protocollo di Accordo intervenuto nel 2001 tra il Comune di Trinità e la Comunità di C.P. In questo protocollo, infatti, le parti convenivano “sulla necessità di perfezionare al più presto il contenzioso esistente nel pieno rispetto degli obblighi reciproci assunti per convenzione. In particolare, “per quanto (riguardava n.d.r.) l’acquisizione delle opere idriche e fognario-depurative” il Comune, nel comunicare la “nomina di un suo tecnico di fiducia per esaminare lo stato di tali infrastrutture”, evidenziava la necessità di acquisire la gestione (di tali impianti) in un unico contesto (vale a dire rete idrica, rete fognaria e impianto di depurazione [n.d.r.]), onde poter applicare i principi che ne regolano la gestione”, trattandosi di “opere che sono ormai integrate tra loro”.

In realtà, il problema di riavviare col Comune una trattativa per il passaggio ad esso delle opere di urbanizzazione di C.P., ed in particolare del servizio idrico integrato non sfiorava minimamente il precedente C.d.A. e tantomeno quello attualmente in carica, ormai in scadenza di mandato. Era, invece, manifesta la volontà di portare avanti il progetto, facendolo approvare dalle autorità competenti, e di avviarne la sua realizzazione. Ciò, sebbene non sussistesse, in capo alla Comunità, alcun obbligo sia a proporre un progetto di ampliamento sia a curarne la realizzazione. Infatti, nella sua qualità di gestore, la Comunità non aveva titolo né per l’una né per l’altra attività. Questo compito spettava al Comune di Trinità, essendo il titolare dell’impianto. Ed è per accertare questo che ATCP ha proposto ricorso al TAR.

Per altro verso, non si possono ignorare le nuove regole, vigenti dal 2011, per i servizi idrici, alle quali la Comunità dovrebbe attenersi per esercitare la gestione del servizio idrico integrato in un quadro di legittimità.

Tali norme prevedono che chiunque, a qualunque titolo, gestisca un servizio idrico integrato, debba essere individuato dall'ATO/Comune. Chi gestisce il servizio idrico, se non è l'affidatario (come Abbanoa), deve essere definito (sempre da ATO/Comune) anche se svolge un solo servizio (es. depurazione), mediante:

  • concessione esistente (presuppone un contratto di concessione),

  • gestione in economia (se il servizio lo gestisce il Comune)

  • gestione salvaguardata (se c'è un preciso provvedimento dell'ATO)

La Comunità non opera in alcuna di queste ipotesi, non essendo concessionario, né soggetto salvaguardato. Dunque, si può dire che essa, oggi, non abbia un titolo valido, neanche per la gestione di tali servizi. A tutto questo si aggiunga che per poter gestire legittimamente un servizio idrico è necessario essere iscritti all'anagrafica AEEGSI (Autorità, Energia, Gas e Idrico), versare periodicamente alla cassa conguagli la componente tariffaria ui1, versare annualmente il 2,5 per mille del fatturato all'AEEGSI che regola il servizio, più altra percentuale all'ATO.

In questo quadro, non vi è dubbio che il titolare del servizio idrico integrato dovrebbe essere il Comune (o eventualmente Abbanoa), in quanto la Comunità, come specificato nella recente diffida legale di ATCP, ad essa inoltrata, “non è né legittimata a realizzare le opere (di ampliamento dell’impianto fognario-depurativo di C.P. – n.d.r.), né affidataria della gestione delle stesse”. Se questo è vero, la Comunità non era legittimata a presentare il progetto alla autorità competenti per l’approvazione, a curarne gli adempimenti previsti dall’iter tecnico-amministrativo di approvazione, finalizzati ad ottenere dalla Regione Sardegna la valutazione di impatto ambientale, a presentare domanda di autorizzazione allo scarico delle acque reflue.

Nonostante tutto ciò e pur con l’esplicito dissenso di qualche componente (ad es. quello del vicepresidente), il C.d.A. in carica, anziché tenere in debito conto i suddetti aspetti che condizionavano la legittimità delle sue azioni, faceva proprio il progetto, curandone il prosieguo dell’iter per evitare ulteriori ritardi nella sua realizzazione, riservandosi di apportare ad esso delle modifiche dopo la sua approvazione da parte dell’autorità competente. Per queste finalità, nel luglio 2013, venne dato incarico ad un professionista di “validare” il progetto, valutandone la conformità alla normativa vigente, nonché di “fornire supporto, tecnico, amministrativo, funzionale, all'ottenimento delle autorizzazioni mancanti, ivi compreso l'eventuale atto aggiuntivo alla originaria convenzione al fine di dare piena legittimità all’ intero impalcato giuridico dell'originario p.d.l.”.

Pertanto, due erano finalità dell’incarico: la prima, quella di produrre un rapporto formale che riportasse gli esiti delle verifiche eseguite sul progetto per consentire la sua accettabilità da parte della stazione appaltante, al fine di avviare, poi, la gara d’appalto per la realizzazione; la seconda, quella di fornire un servizio professionale di supporto finalizzato a far ottenere al progetto le autorizzazioni necessarie.

Se questo era il disegno, i calcoli erano sbagliati (purtroppo, si sa che i calcoli non sono il tratto forte di questo C.D.A. ). Per poter essere trasferiti sul progetto, gli esiti delle verifiche del processo di validazione avrebbero dovuto essere disponibili prima della conclusione dell’iter della procedura di valutazione dell’impatto ambientale (VIA). E, concretamente, questa possibilità c’era: l’incarico era stato conferito il 1 luglio 2013, la deliberazione di VIA della Giunta Regionale della Sardegna è del 12 settembre 2014. Dunque c’era più di un anno di tempo per apportare al progetto le modifiche suggerite dalla validazione. Invece, il rapporto finale di validazione non si sa se sia stato consegnato al committente, sebbene il professionista incaricato avesse dato assicurazioni che esso sarebbe stato reso disponibile per il C.d.A. ad ottobre 2013.

Così, il 19 novembre 2014, sul sito web della Comunità, appariva un articolo, riconducibile al presidente, che annunciava: “È’ strato creato dall’ingegner Cassitta un documento, che per ora non verrà comunicato (quindi, non lo conosceremo, nell’immediato), ma che, si sa, corposo, di carattere non ingegneristico o propositivo, ma puramente valutativo”. In luogo di un rapporto finale, veniva resa nota e pubblicata sul sito soltanto una lista di punti di non coerenza del progetto rispetto alla normativa vigente in materia e rispetto al Piano Territoriale di Lottizzazione, quando già il provvedimento di VIA era stato emesso.

Ci sarebbe da chiedersi il perché di tanto ritardo, ma anche di tanto mistero. Quel che si sa è che il progettista ha rimandato al mittente i rilievi del validatore non accettandoli sia nella forma che nel merito, essendo tenuto, deontologicamente, a prendere in considerazione le sole osservazioni eventualmente mosse dalla conferenza dei servizi.

Ora, tutto questo è avvenuto dopo che il progetto ha ottenuto il giudizio positivo della Giunta Regionale della Sardegna sulla compatibilità ambientale dell’intervento per l’ampliamento e la manutenzione straordinaria delle strutture depurative e della rete fognaria esistente, che rendeva immediatamente cantierabile il progetto sin dalla fine del 2014, senza possibilità di modifiche.

Sorge a questo punto la domanda come mai la validazione del progetto non sia stata conclusa per tempo, visto che il C.d.A. aveva manifestato, fin dall’inizio del suo mandato, l’intenzione di apportare ad esso delle modifiche e che il professionista incaricato aveva rilevato dei punti di non conformità del progetto sia alla normativa in materia sia allo stesso PTL, che contemplava un bacino d’utenza pari a 10.700 ab. eq. mentre il progetto era stato dimensionato per 16.000 ab. eq.

Il professionista incaricato avrebbe dovuto sapere che la VIA positiva rende un’opera immediatamente eseguibile e cantierabile e che, una volta intervenuta, non sono ammesse varianti sostanziali al progetto, salvo che esse non fossero state proposte nella sede di una conferenza di servizi, che la Comunità non aveva certo il potere di convocare. D’altra parte, se la stazione appaltante – Comunità – riteneva necessarie delle modifiche al progetto, anche sulla base di un processo di validazione preventivo, non avrebbe dovuto sottoporlo ad una procedura di VIA prima di averle eseguite.

Ma allora a che serviva una verifica di conformità (validazione) non proposta a tempo debito o nella sede più idonea, come la conferenza di servizi? Il C.d.A., che ha affidato l’incarico a fronte di un corrispettivo di ca. 90.000 euro, inutilmente spesi, dovrebbe spiegarne e giustificarne le ragioni, anche per evitare eventuali azioni di responsabilità. Allo stesso tempo dovrebbe spiegare i motivi che lo hanno indotto ad affidare la direzione dei lavori del 1° lotto della fognatura allo stesso professionista incaricato della validazione del progetto, mentre tale incarico risultava già affidato e sottoscritto dall’ex presidente del C.d.A. Pola all’ing. Attilio Savi; così come dovrebbe dare una risposta alla lettera, inviata da ATCP al presidente il 27 gennaio u.s., in merito all’avvio dei lavori del 1° lotto della fognatura. Tale lettera conteneva alcune “doverose domande, finalizzate a conoscere il numero delle imprese invitate; il numero delle imprese che, rispondendo all’invito, hanno partecipato alla gara; quali erano i requisiti stabiliti per la partecipazione e quali sono stati i criteri di assegnazione alla ditta" aggiudicataria.

Questa lettera non ha avuto risposta, come in tanti altri casi, a testimonianza di una cultura che porta a concepire il proprio ruolo, non in termini di servizio verso coloro che si pretende di rappresentare, ma come esercizio di un narcisistico potere personale, di fronte al quale l’interesse dei rappresentati conta ben poco.

di Ferdinando Mulas

Presidente di ATCP

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