Nell'ultima nota, pubblicata su questo blog dal titolo “Zorro ? Lasciamolo perdere!”, avevamo concluso dicendo che la linea più saggia sarebbe stata quella di lasciarlo perdere, evitando di occuparsi di lui e dei suoi articoli, non valendone la pena. Sennonché nella sua immancabile replica, Zorro, com'è suo costume, manipola e stravolge la realtà di alcuni fatti, sui quali sono opportune alcune doverose rettifiche.
La prima. Facendo riferimento al mio scritto in ricordo di Ferdinando Buffoni, egli ha l'impudenza di affermare: “ dietro il cordoglio riversa anche su “cari amici” estinti colpe eminentemente sue”. Chiunque, scevro da pregiudizi o da astio personale e che sappia leggere, non può cogliere, in esso, ciò che invece maliziosamente e provocatoriamente intravvede Zorro: uno scarico di responsabilità (inesistente) da parte mia nei confronti di Buffoni, utile a corroborare l'accusa di vigliaccheria nei miei riguardi, uno dei chiodi fissi dei suoi sproloqui. E' vero, invece, che con Buffoni c'era una sostanziale identità di vedute, pur con qualche ovvia differenza nel metodo da seguire. In particolare nei rapporti col Comune. Buffoni, confidando nella sua passata esperienza lavorativa che comportava un assiduo rapporto con gli enti locali, era sicuramente più propenso alla trattativa che non al braccio di ferro per risolvere le questioni di Costa Paradiso. Tuttavia, quando ha capito che non c'era altra possibilità, dopo vari tentativi andati a vuoto, ha scelto, in accordo con me e con la maggioranza degli altri consiglieri, la via della tutela giurisdizionale dei diritti dei proprietari di Costa Paradiso. Dunque, contrabbandare una normale dialettica sul metodo, nell'ambito di una linea condivisa all'interno di un organo collegiale, come una forma di scaricabarile postumo da parte mia (secondo la tesi di Zorro per rispondere alle sue critiche circa il rinvio dell'udienza del TAR e alle sue fantastiche accuse di inciucio col Comune), è un esempio concreto di come si possono falsificare le notizie da parte di una persona priva di scrupoli.
La seconda. Zorro si arrampica sugli specchi per giustificare la sua scelta, da autentico sciacallo, di dare ampio risalto (pur sconsigliato dall'avv. Perri) ad una mia condanna per danno erariale dalla Corte dei Conti. E questo senza tener conto che si trattava di una sentenza non definitiva (tanto è vero che poi è stata totalmente riformata in appello) e che non aveva alcuna attinenza con le questioni di Costa Paradiso e col mio ruolo di amministratore della Comunità. Non solo. Zorro ha scritto più volte indicandomi come moroso per 700.000 € verso lo Stato, sorvolando sul fatto che si è morosi sulla base di un titolo certo e di una formale diffida al pagamento. Per ribattere sull'accusa di sciacallaggio, che gli ho rivolto, parte dalla definizione che ne dà il vocabolario (“lo sfruttamento scandalistico di informazioni riservate allo scopo di danneggiare un’immagine” ), ma finisce col darsi la zappa ai piedi. Egli, infatti, ha messo esattamente in pratica il contenuto di quella definizione. Non è vero che le sentenze della Corte dei Conti, così come quelle di altri organi giurisdizionali, sono alla portata di tutti su una piattaforma ad uso generalizzato come Google, così come il Corriere della Sera ha riportato la notizia del rinvio a giudizio e non della sentenza. Ed anche se fosse vero, ciò che conta è, comunque, l'uso che se ne fa. Ma a prescindere da questo, Zorro conosceva i risvolti concreti di tale vicenda, che non avevano come presupposto né la commissione di reati, né la malversazione nell'uso di denaro pubblico; circostanze, queste, certamente controproducenti se non ostative rispetto alla mia partecipazione al C.d.A. della Comunità. Non c'era niente di tutto questo per giustificare l'enfasi che Zorro ha voluto darle. Si trattava, infatti, del fatto che un sistema informatico, destinato agli uffici per l'esecuzione penale esterna dell'Amministrazione della Giustizia, non veniva usato dagli uffici destinatari. La Corte dei Conti ha rilevato un danno in tale mancato uso, individuando come responsabile il soggetto che aveva la responsabilità dell'attuazione del progetto (e cioè lo scrivente) e non chi aveva la responsabilità ed il dovere di disporre che quel sistema - che era stato collaudato positivamente e che era in grado svolgere le funzioni per le quali era stato commissionato - venisse usato negli uffici di destinazione. Perciò, le giustificazioni pelose di Zorro non sono tali da sconfessare in alcun modo l'accusa di vigliaccheria che gli avevo rivolto in una mail, inviatagli quasi due anni fa.
La terza. Il cenno alla vita di insuccessi, fatto nell'articolo citato in premessa, non riguarda certo la sua sfera privata, come la vita coniugale, l'acquisto di case per sé o per il figlio, l'attività lavorativa svolta, temi che non c'entrano nulla con la nostra querelle. Ci si riferisce, invece, alla sua apparizione a Costa Paradiso ed al ruolo che ha voluto giocarvi, con oscillazioni piuttosto vistose nelle posizioni via via assunte. E' in questo contesto che ha colto i suoi insuccessi per effetto della sua personalità, che, ad essere buoni, abbiamo definito complessa, e delle qualità negative che essa esprime, in particolare sotto l'aspetto umano e delle relazioni con gli altri. Ne sono una dimostrazione il suo livore ed il suo astio verso chi non la pensa come lui, tanto più se si controbatte ai suoi argomenti o si criticano i suoi comportamenti. Insomma, il diritto di critica spetta solo a lui, che può scrivere tutto ciò che gli salta in mente, gli altri no, non possono farlo. Figurarsi se Zorro può accettare la satira di Fortebraccio, “la carogna”, che mette un po' alla berlina certi suoi atteggiamenti! Questo è troppo per lui; è un affronto, che va lavato col sangue, così come la contestazione dei suoi assunti, spesso fasulli, costituisce l'occasione per dare ampio sfogo alla sua vocazione all'insulto come risposta. Certo, dà da pensare l'affermazione che, dove egli ha “messo la penna, le cose sono cambiate radicalmente”. In meglio o in peggio ? Se le sue prestazioni erano simili a quelle esibite a C.P. propendiamo per la seconda ipotesi. Non sappiamo su quale giornale egli scrivesse esercitando la sua penna. Qualcuno dice che non abbia mai lavorato in un giornale, ma abbia lavorato solo come divulgatore multimediale in una casa editrice. L'affermazione è verosimile, se si tiene conto dei suoi vistosi limiti sul piano della tecnica giornalistica e della deontologia professionale, che non riflettono affatto quelle di un giornalista, abituato a lavorare nella redazione di un vero giornale. Non casualmente Fortebraccio lo ha chiamato Giorgio Bomba! Chissà che cosa ha insegnato agli aspiranti giornalisti nei corsi patrocinati dall'Ordine dei giornalisti e finanziati dalla CEE, che gli hanno dato tanta soddisfazione professionale. Non osiamo pensarlo, ma, se partiamo dalle dimostrazioni concrete che ha dato col suo blog, l'insegnamento è stato sicuramente pessimo. Certamente non ha insegnato loro a scrivere la verità dei fatti; a verificare la correttezza e la fondatezza delle notizie prima di pubblicarle; ad evitare di fare cronaca a base di illazioni, di affermazioni col punto interrogativo e di correlazioni logiche arbitrarie; a spacciare accuse senza dimostrarle, anche in presenza di smentite specifiche (vedasi, ad esempio, l'accusa ad ATCP di aver usato la mailing list della Comunità).