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Immagine del redattoreFerdinando Mulas

DISSOCIARSI DALLA COMUNITA’ DI COSTA PARADISO O RIFORMARLA?


Pasquale Ferrara ha recentemente pubblicato sul suo blog una lettera con la quale dichiarava la sua volontà di dissociarsi dalla Comunità del territorio di Costa Paradiso, in quanto associazione non riconosciuta, alla quale non ha dato la sua adesione e nella cui gestione non si riconosce. Questa posizione era stata sostenuta da ATCP negli anni ’90 e si era manifestata col rifiuto, da parte degli aderenti ad ATCP, di pagare le quote condominiali. L’argomento merita, per la sua importanza, un approfondimento in particolare per valutare l’adeguatezza dell’attuale modello organizzativo della Comunità, che, da una parte, diventa sempre più esosa, essendosi assunta dei compiti che, per legge, sono di competenza pubblica, e, dall’altra, si dimostra poco attenta e disinvolta nella gestione delle risorse e nel controllo della spesa.

Contrariamente a quanto affermato da Ferrara, seguito poi da Natale Gilio e qualche altro, la adesione alla Comunità, c’è stata al momento dell’acquisto del lotto o della unità immobiliare. Lo certificano gli atti notarili di acquisto e di assegnazione, che riportano in generale - oltre al titolo di proprietà esclusiva (il lotto su cui costruire o l’unità abitativa, se il lotto è già costruito) - un titolo di comproprietà, espresso in decimillesimi, di terreno comune indiviso (rappresentato da circa 483 ettari di terreno inedificabile destinato a polmone verde), proporzionale alla dimensione della proprietà esclusiva; titolo che non può essere ceduto separatamente dalla proprietà esclusiva. Nello stesso atto, ciascun acquirente accetta e si impegna a rispettare sia la Convenzione di lottizzazione che il Regolamento, che disciplina “l'uso delle cose e dei servizi comuni”, secondo i principi della comunione. In pratica, è lo stesso schema che si realizza in un condominio verticale quando si acquista un appartamento. Con la proprietà esclusiva dell’appartamento si acquista anche una quota, espressa in millesimi, delle parti comuni del fabbricato e si accettano le regole stabilite dal regolamento condominiale.

Dunque, sotto quest’angolo visuale, una dissociazione dalla Comunità, intesa come l’insieme dei beni in proprietà esclusiva ed in proprietà comune ed indivisa, non è possibile.

Il problema è che, nel tempo, la Comunità ha cambiato fisionomia rispetto alla figura giuridica di comunione di beni, prefigurata nel preambolo del Regolamento. A partire dal 1973, i vari C.d.A. hanno, infatti, introdotto il nome di “Comunità”, che inizialmente non compariva in nessun atto ufficiale, qualificandola come associazione non riconosciuta.

Sotto questa scelta c’era la volontà, neanche troppo nascosta, di assecondare gli interessi legati alla speculazione edilizia del territorio, di non cedere al Comune le opere di urbanizzazione, come previsto in convenzione, di far assumere alla Comunità i connotati di “una associazione di proprietari di terreni, situati in aree destinate ad insediamenti turistici, che ha la finalità di realizzare le opere di urbanizzazione nel quadro dell’autogoverno del territorio”, che è quel che identifica un consorzio di urbanizzazione volontario. Inoltre, la scarsa disciplina prevista nel codice civile per le associazioni non riconosciute avrebbe consentito al C.d.A. di applicare le norme che più convenivano, secondo le circostanze

La realtà di fatto, però, è diversa. Costa Paradiso, infatti, non è nata da un’associazione di proprietari (di cui non esiste alcun atto costitutivo), che si sono messi d’accordo per realizzare le opere di urbanizzazione e poi gestirle in una sorta di autogoverno del territorio attraverso un regolamento, bensì da una convenzione di lottizzazione tra la società cooperativa Costa Paradiso S.r.l. ed il Comune di Trinità d’Agultu, per la quale la prima ha l’obbligo di realizzare le opere di urbanizzazione primaria, che dovranno essere poi cedute al Comune, cui compete la relativa gestione urbanistica

In questo quadro, l’acquisizione delle opere di urbanizzazione e delle relative aree al suo patrimonio indisponibile era per il Comune obbligatoria, quanto lo era la cessione delle stesse per il lottizzante. Detto trasferimento, infatti, “...è condizione necessaria affinché possa concretamente realizzarsi l’assetto del territorio cui sovrintende l’attività di pianificazione propria del Comune ed è, altresì, presupposto necessario affinché possano poi concretamente operare le norme nazionali e regionali vigenti in materia di corretta gestione dei servizi pubblici correlati alle opere di urbanizzazione, la cui titolarità il legislatore espressamente affida all’autorità amministrativa” (TAR della Sardegna, sentenza n.880/2011)

Fa specie, pertanto, che l’attuale C.d.A., che pure sembrava orientato ad avviare la trasformazione della Comunità come condominio orizzontale, nella recente causa intentata da Ferrara ed altri contro la Comunità, ha tenuto ferma la tesi che la Comunità di C.P. è un’associazione non riconosciuta, rimangiandosi così il proposito (in Manifesto dell’Unione Proprietari del 2013) di qualificare C.P. come condominio orizzontale. Così i legali da esso incaricati (vedasi da ultimo la comparsa di costituzione del 23.12.2014 presso il Tribunale civile di Tempio, redatta dall’avv. Madau) si sono fatti forti delle sentenze n.115/2005 della C.A. di CA –sez. staccata di SS – e n.29755/2011 della Corte di Cassazione per continuare a sostenere questa linea.

I presupposti, da cui muovono le suddette sentenze per qualificare la Comunità come consorzio di urbanizzazione (indicato come“un’organizzazione tra i proprietari di aree facenti parte di un comprensorio di lottizzazione che si prefiggevano l’autogoverno del territorio, con lo scopo di creare e poi gestire le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, nonché di determinare prescrizioni urbanistiche vincolanti per i singoli partecipanti e di istituire organi di amministrazione del comprensorio”), non trovano corrispondenza, come già detto, nella realtà di Costa Paradiso e, soprattutto, nel quadro convenzionale in cui essa è sorta. Detto quadro è richiamato espressamente dall’art. 4 del regolamento: “l’intero territorio è soggetto alla convenzione stipulata fra il Comune di Trinità d’Agultu e la società cooperativa Costa Paradiso S.r.l. il 6 luglio 1967, registrata a Tempio il 25.07.1967 n. 816 mod. XII vol. 87, agli atti ivi richiamati ed alle eventuali variazioni di detti atti e della convenzione stessa”. Mentre le norme, relative alle caratteristiche delle costruzioni, all’urbanistica, alla tutela dell’ambiente e del paesaggio, all’edilizia e all’igiene e sanità, riportate nel regolamento non derivano da un accordo tra i “consorziati”, ma sono estrapolate dalle norme tecniche di attuazione del piano territoriale di lottizzazione definito dal Comune, di cui la convenzione di lottizzazione è lo strumento attuativo.

Nel contesto brevemente descritto, una eventuale dissociazione (o disconoscimento) deve, allora, partire da un altro dato di fatto, e cioè che la Comunità, in aggiunta ai compiti originari indicati nel regolamento (che non fa alcuna menzione delle opere di urbanizzazione, mentre cita, invece, all’art. 4, la convenzione di lottizzazione) si è arbitrariamente assunta compiti che non sono suoi propri, quali la gestione delle opere di urbanizzazione primaria e quella dei servizi urbanistici correlati, e non solo quelli (Si pensi al servizio sanitario), assumendo una veste – quella dell’associazione non riconosciuta – che non è propriamente la sua.

I Partecipanti vengono così costretti a pagare la gestione di strutture e di servizi, che non rientrano nella sfera di competenza della Comunità e che, per legge, non possono essere gestiti privatamente. E’ da questo tipo di onere non dovuto che i Partecipanti dovrebbero dissociarsi, anche perché gli stessi servizi li pagano al Comune, attraverso la TASI.

Queste considerazioni inducono a sostenere che una riforma della Comunità e del suo modello organizzativo e di gestione non sia più rinviabile. Lo confermano, in modo inequivocabile, le vicende più recenti, come: le bocciature di bilancio, gli ammanchi di cassa, gli allacci abusivi alla fognatura, tra cui quello della figlia di un componente dello stesso C.d.A. (che per questo dovrebbe dimettersi), il fallimento del progetto per l’adozione di un nuovo sistema informatico di contabilità, la discutibile gestione del progetto per l’ampliamento della fognatura. Vicende che non sono soltanto un indice della inadeguatezza dei componenti del C.d.A., ma la prova che il sistema Comunità, così com’è, fa acqua e non regge più. Se si vuole una ulteriore conferma, basta leggere il verbale della riunione del 21 febbraio scorso del C.d.A., dove, tra un periodare improbabile e talora sintatticamente scorretto, emergono intenzioni e propositi di spesa del tutto fuori luogo.

Certamente sussistono ancora, tra i Partecipanti, orientamenti tendenti alla conservazione dello status quo e contrari ad una linea di riforma e di innovazione e, di fatto, indifferenti al contenimento, alla selezione ed al controllo rigoroso della spesa. Per alcuni, sarebbe inutile ed ozioso continuare ad intestardirsi sulla qualificazione giuridica della Comunità, visto che, in merito, c’è stata una sentenza della Cassazione, mentre la qualificazione della Comunità come associazione non riconosciuta sarebbe la più conveniente per i Partecipanti. Questi orientamenti non sono condivisibili, anche perché tendono a sminuire l’importanza di due fattori da cui, sostanzialmente, traggono origine tutte le problematiche di Costa Paradiso.

Intanto, sulla qualificazione giuridica ci sono state varie sentenze tra loro contrastanti e più di una volta lo stesso ufficio ha contraddetto sé stesso. Un eventuale nuovo ricorso su questo tema, magari esponendo meglio i presupposti di fatto e di diritto, potrebbe avere un esito completamente difforme, anche in Cassazione. Ma a parte questo, occorre osservare che la stessa Corte di Cassazione, nella sentenza in cui qualifica la Comunità di Costa Paradiso come consorzio di urbanizzazione assimilabile ad una associazione non riconosciuta, la inquadra come “figura atipica, che, oltre al connotato associativo, presenta anche un forte profilo di realità (nel senso che al singolo associato fanno capo delle obbligazioni che sorgono dalla cosa che egli possiede, c.d. obbligazioni propter rem), per cui risulta insoddisfacente tanto l’applicazione generalizzata delle norme sulle associazioni, quanto quelle in tema di comunione”. Secondo la corte di cassazione, diventano perciò rilevanti le pattuizioni contenute nell’atto costitutivo e nello statuto del consorzio. Soltanto se in tali atti manchi una disciplina specifica, è applicabile la normativa più confacente alla regolamentazione degli interessi coinvolti.

Nel caso di C.P. non esiste un atto costitutivo della Comunità e quindi dell’asserito consorzio. Esiste solo lo statuto, costituito dal regolamento, che, peraltro, richiama, in premessa, le norme sulla comunione, anche se non definisce esplicitamente il territorio (il termine di Comunità non era ancora apparso) come comunione. A questo punto, seguendo il criterio indicato dalla corte di cassazione, l’elemento che diventa rilevante e decisivo per la qualificazione giuridica della Comunità, presupposto della corretta individuazione della disciplina da applicare, è la valutazione degli interessi coinvolti e, conseguentemente, l’identificazione della forma giuridica che meglio tutela tali interessi.

Come già accennato, i vari C.d.A. che si sono succeduti nel tempo, e, purtroppo, anche quello attuale, hanno ritenuto preferibile utilizzare la figura giuridica dell’associazione non riconosciuta per convenienza propria, piuttosto che per tutelare meglio gli interessi dei Partecipanti. Avendo una disciplina molto lasca, essa, infatti, consente maggioranze di comodo per governare le assemblee dei partecipanti, ma anche di fronteggiare meglio, in giudizio, i ricorsi proposti dai partecipanti per la contestazione di delibere assembleari ritenute illegittime.

In realtà, a Costa Paradiso gli interessi meritevoli di tutela non sono e non possono essere questi, sono altri. L’associazione non riconosciuta non solo non riflette correttamente i rapporti che si sono creati nell’ambito del comprensorio, che, in ogni caso, non sono quelli tipici di un’associazione, ma soprattutto risulta inadeguata ad assicurare una gestione più moderna ed efficiente del territorio.

Secondo la valutazione di ATCP (ed altri …..) la figura giuridica in grado di tutelare meglio gli interessi dei Partecipanti della Comunità di C.P. è quella del condominio orizzontale. Infatti, la nuova normativa sul condominio, entrata in vigore nel 2013 e modificata parzialmente nel 2014, ha il vantaggio di disciplinare compiutamente e puntualmente tutti gli aspetti della gestione condominiale: la gestione dei beni comuni e la loro destinazione; l’assemblea di condominio; i compiti e le responsabilità dell’amministratore; gli aspetti contabili e fiscali; la riscossione degli oneri condominiali; l’appalto dei lavori e dei servizi. In questo senso, essa rappresenta uno strumento di tutela e di garanzia per i Partecipanti della Comunità/condominio, sia per ciò che riguarda i loro diritti, sia per quanto concerne i loro obblighi e quelli dell’amministratore; inoltre, può consentire dei vantaggi sul piano fiscale, rendendo possibile l’applicazione delle detrazioni previste dalla legge.

Le obiezioni secondo cui “col condominio orizzontale si trasferirebbero in mano di pochi poteri e prerogative dei Partecipanti”, non trovano riscontro nella realtà e tantomeno nella legge sul condominio. Qualcuno si spinge addirittura ad affermare che “l’amministrazione ordinaria e straordinaria sarebbero nelle mani di una sola persona (l’amministratore unico), nominato annualmente dall’assemblea costituita da una élite di delegati scelti uno per condominio (o caseggiato)”. Anche questa è una libera e molto discutibile interpretazione, ma ad essa è semplice obiettare che il c.d. amministratore del condominio, come figura professionale retribuita (su cui, peraltro, si sta già orientando l’attuale C.d.A.) non sarebbe altro che l’esecutore delle decisioni dell’assemblea sulla base delle direttive e dell’attività di controllo di un consiglio di condominio, eletto dalla stessa assemblea; inoltre, la composizione dell’assemblea sarebbe identica a quella attuale, alla quale il nuovo regolamento potrebbe porre opportunamente dei vincoli che in quello attuale non ci sono (ad esempio, un limite al numero di deleghe in capo ad una persona; abolire la delega all’amministratore nel caso dei villaggi costituiti in condominio).

Di qui, la necessità e l’urgenza di convocare un’assemblea straordinaria dei Partecipanti in chiave costituente, per eleggere un consiglio di amministrazione, che resti in carica per un tempo limitato, comunque non superiore ad un anno, col preciso mandato di elaborare le proposte, da sottoporre al successivo voto dell’assemblea, relativamente a:

  1. Una nuova denominazione della Comunità;

  2. Una qualificazione giuridica che rispecchi la realtà di C.P. ed assicuri un modello di organizzazione e di gestione il più rispondente alle esigenze dei Partecipanti scegliendo tra associazione non riconosciuta o condominio orizzontale;

  3. Un atto costitutivo, che recepisca la nuova qualificazione giuridica, indichi lo scopo sociale, chiarisca i compiti, definisca gli organi di rappresentanza e di gestione del nuovo soggetto;

  4. Un nuovo regolamento del territorio.

Il problema della qualificazione giuridica della Comunità implica anche un’altra importante conseguenza : quella di definire, in modo inequivoco, la finalità della Comunità stessa, che, a nostro giudizio, resta quella – indicata nell’attuale regolamento - di assicurare l’amministrazione ed il miglior uso dei beni comuni. Tra questi non vanno ricomprese le opere di urbanizzazione, come le strade, i parcheggi, le aree di verde pubblico attrezzato, la rete idrica e l’impianto fognario essendo destinate, per convenzione di lottizzazione, ad essere acquisite dal Comune. Esse, perciò, non sono da annoverare tra i beni comuni del territorio di C.P. e tantomeno possono essere affidate all’autogoverno di soggetti. privati, essendo la loro gestione di competenza del Comune o di altri enti incaricati di pubblico servizio, come la gestione del servizio idrico integrato (che comprende anche la fognatura).

Ferdinando Mulas

Presidente ATCP

presidenza@atcp.it


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