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A proposito di morosità


Dal verbale della riunione del C.d.A., svoltasi a Costa Paradiso il 9 maggio 2016, si apprende che l’assemblea dei Partecipanti, per il rinnovo delle cariche sociali e l’approvazione dell’ultimo esercizio finanziario, si svolgerà il 10 agosto 2016. Nello stesso verbale si afferma che ad essa potranno prender parte solo i proprietari che, alla data del 31 ottobre 2015, risultavano in regola con i pagamenti delle quote condominiali, mentre saranno esclusi, ex articolo 64 del Regolamento, dalla partecipazione e, di conseguenza, dal diritto di voto i soggetti che alla suddetta data del 31 ottobre 2015 risultavano morosi per una cifra superiore a euro 500,00. Non è considerata morosità, agli effetti del voto, quella maturata in ordine alla quota di ampliamento dell’impianto fognario. La morosità, riconducibile al mancato pagamento delle quote afferenti alla gestione ordinaria, potrà essere sanata entro il 10 luglio 2016.

In proposito, ci sembra opportuno osservare che il citato art. 64 del Regolamento:

  1. non stabilisce che il debito verso la Comunità debba superare una cifra specifica perchè il debitore venga qualificato come moroso. La soglia dei 500,00 euro risulta, perciò, inventata da questo C.d.A. per assicurare alla prossima assemblea una maggioranza comunque accettabile;

  2. prevede precise modalità per qualificare moroso il partecipante che non paga le quote condominiali di sua spettanza: “dopo sei mesi di morosità ( che decorre “dal trentesimo giorno successivo a quello della scadenza, sempre che siano decorsi almeno quindici giorni dall’invito scritto”) il Partecipante perderà sia il diritto al voto che il diritto di partecipazione all’Assemblea, a seguito di comunicazione scritta del Consiglio di Amministrazione”.

Ai fini della giustezza dell’esclusione, occorre, perciò, verificare non tanto l’entità della somma dovuta (anche se è del tutto arbitraria la fissazione del limite di 500,00 €), quanto se tale procedura sia stata effettivamente applicata per qualificare morosi tutti coloro che, sette mesi e mezzo prima del 31 ottobre 2015, risultavano debitori verso la Comunità per una cifra superiore ai 500,00 €, attestata da specifica comunicazione scritta da parte del C.d.A. Questa è la condizione, a termini di regolamento, per giustificare l’esclusione dal diritto di voto e di partecipazione all’assemblea. Esclusione che non sarebbe possibile, se si applicassero le norme del codice civile, che prevalgono comunque su quelle regolamentari.

Ma, ormai, è risaputo che questo C.d.A. applica, in modo flessibile ed alternativo, le norme del codice civile e quelle del Regolamento, secondo la sua convenienza. Così è successo quando è venuta meno la sua maggioranza collegiale: il Presidente aveva l’obbligo, in base all’art. 59, di convocare l’Assemblea dei Partecipanti per l’integrazione del Collegio; si è ben guardato dal farlo, invocando (a sproposito) l’art. 2385 del codice civile ed accampando scuse risibili. Più recentemente, non ha preso in considerazione le istanze di 262 Partecipanti che chiedevano, ai sensi dell’art. 20 del codice civile, l’urgente convocazione dell’assemblea per l’immediato rinnovo della cariche sociali. Una richiesta ampiamente motivata dal fatto che il C.d.A. non aveva la maggioranza collegiale dal 22 agosto 2015; il collegio non era stato reintegrato, come stabilito dall’art. 59 del Regolamento; il mandato degli organi di rappresentanza della Comunità, eletti il 13 aprile 2013, era ormai scaduto.

Anche in questo caso le ragioni addotte per respingere la richiesta sono pretestuose. Inizialmente, il rigetto è stato motivato affermando che il 44% dei richiedenti risultava moroso. Quando abbiamo chiesto di sapere se tale asserita morosità fosse stata dichiarata nelle modalità e nei termini previsti dall’art. 64 non c’è stata risposta alcuna. Successivamente, dall’accesso agli atti abbiamo potuto rilevare che, tra i 262 richiedenti, solo due risultavano destinatari di decreto ingiuntivo, e, quindi da considerare morosi a tutti gli effetti, mentre per altri quindici lo status di morosità non risultava certo e definito, come stabilito dal regolamento, pur essendo destinatari di una diffida di pagamento.

Perciò, nel suddetto verbale del 9 maggio 2016, le ragioni del rigetto diventano altre: …”è manifestatamente impossibile prendere in considerazione il documento sottoscritto (l’istanza di ciascun partecipante, N.d.R). Mancherebbero addirittura al 15 maggio (la data entro la quale avevamo chiesto che venisse convocata l’assemblea, N.d.R.) i 30 giorni di preavviso per la comunicazione dell’assemblea. Questo rende superflua l’indagine sul numero effettivo delle firme valide e anche sulla legittimazione soggettiva dei sottoscrittori”.

Avevamo chiesto espressamente al presidente del C.d.A. di evitare il ricorso a cavilli formali per giustificare posizioni di chiusura e di tenere invece in giusta considerazione le ragioni di urgenza che stavano alla base della richiesta. Non ci ha dato ascolto. Evidentemente, la sua visione e le sue ragioni personali prevalgono su quelle di coloro che egli è stato chiamato a rappresentare !

Quel che è certo è che lo stato di morosità dei partecipanti, vero o presunto che sia, viene utilizzato in modo spregiudicato, come strumento di gestione del potere, in chiave elettorale. In quest’ottica, trova idonea spiegazione il post pubblicato sul sito web della Comunità alla fine di aprile 2016, secondo il quale il 94% dei partecipanti sarebbe moroso. Se il dato fosse veritiero, ci sarebbe da chiedersi come la Comunità possa reggersi e far fronte alla sue spese di funzionamento. Evidentemente, in quel 94% sono stati ricompresi tutti: sia quelli che sono debitori verso la Comunità per cifre anche inferiori ai 500 €; sia coloro che si sono rifiutati di pagare le quote relative al finanziamento del primo lotto del progetto di ampliamento dell’impianto fognario. Su questo argomento, ribadiamo, ancora una volta, che la Comunità non ha alcun titolo di legittimazione sia per la gestione dell’attuale impianto fognario, di proprietà del Comune di Trinità, sia per la realizzazione del progetto di ampliamento del medesimo. Per questo motivo la Comunità è stata formalmente diffidata da ATCP ad astenersi sia dall’una che dall’altra.

Relativamente alla gestione, la convenzione N. 8401/1992 tra Comune e Comunità, che affidava a quest’ultima la responsabilità per l’impianto fognario esistente, stabiliva la scadenza della medesima al 1 agosto 1995. Dopo questa data, la Comunità ha continuato, comunque, a gestire sia l’impianto fognario che il servizio idrico, oggi considerati, come servizio unico integrato.

Non tutti sono consapevoli che quest’ultimo, a Costa Paradiso, viene gestito in pieno contrasto con le norme in materia, in base alle quali chiunque, a qualunque titolo, gestisca un servizio idrico integrato, deve essere individuato dall'ATO, mediante un contratto di concessione oppure mediante uno specifico provvedimento dell’ATO (c.d. gestione salvaguardata). La Comunità non opera in alcuna di queste due ipotesi, non essendo concessionario, né soggetto salvaguardato. Di conseguenza, essa svolge il ruolo di gestore del servizio idrico integrato in modo abusivo ed illegittimo, non essendo, iscritta all’anagrafica AEEGSI (Authority gas e servizi idrici) e non essendo in regola con i tributi dovuti alla medesima e ad ATO.

Quanto alla realizzazione del progetto di ampliamento, si è detto che la Comunità non ha alcun titolo di legittimazione che la imponga o la giustifichi. Con la convenzione n. 8400/1992, sottoscritta col Comune, la Comunità assumeva l’obbligo di gestire l’impianto fognario di proprietà del Comune fino al 1 agosto 1995, impegnandosi a “programmare” (non a realizzare) l’adeguamento/ampliamento degli impianti depurativi e fognari esistenti. In ogni caso, dopo l’approvazione del progetto da parte dell’assemblea dei partecipanti del 28.11.2011 e la trasmissione dello stesso dalla Comunità al Comune, sarebbe dovuto essere quest’ultimo, anziché la Comunità, a svolgere il ruolo di soggetto proponente e ad inoltrare il progetto alla Regione Sardegna per la valutazione di impatto ambientale.

Tutto questo ha generato costi non dovuti a carico dei partecipanti, per consulenze, studi correlati al progetto per la fognatura (SIA e compatibilità idrogeologica-geotecnica), incarico ad un professionista per una attività di verifica-validazione, intervenuta quando era del tutto inutile, ed, infine, il citato acconto del 20% del costo totale del progetto di ampliamento dell’impianto fognario e di depurazione.

In un quadro caratterizzato da:

  • spese non dovute, perché prive di un titolo legittimo atto a giustificarle;

  • consulenze inutili come quella dell’incarico di verifica-validazione di un progetto già approvato (costato ca. 80.000 euro) o della realizzazione di un sistema informatico fantasma;

  • significativi e non sufficientemente spiegati ammanchi di cassa;

  • mancanza di trasparenza nella gestione complessiva e – dulcis in fundo – l’aumento delle quote condominiali di ca. il 30%;

  • incrementi significativi delle spese per il personale dipendente,

non c’è da meravigliarsi che parecchi proprietari comincino a ribellarsi a queste imposizioni e a rifiutarsi di pagare.

Ed è proprio in questa situazione che la c.d. lotta alla morosità - di cui questo C.d.A. non perde occasione per vantarsene (senza che ci siano meriti da sbandierare) - assume un’altra connotazione: quella di strumento per discriminare le posizioni dei partecipanti e continuare a mantenere il proprio potere. Ne abbiamo avuto un assaggio all’assemblea svoltasi a Bologna il 4 ottobre 2014, quando le deleghe riferite ad un condominio sono state escluse dal diritto di voto, mentre le deleghe riferite ad altro condominio sono state accettate, sebbene entrambi in ritardo con i pagamenti.

Stando così le cose, è evidente che la lotta alla morosità deve essere affrontata in modo diverso da come è stata condotta finora, puntando più sulla prevenzione e sull’adesione convinta dei proprietari a partecipare a spese, che essi accettano perchè ritenute necessarie o utili alla collettività di Costa Paradiso, in luogo di modalità, come quella dei decreti ingiuntivi, promossi spesso in ritardo, che servono ad aggravare le spese della Comunità, a compensare avvocati amici e a dare l’idea che i morosi sono perseguiti, anche se a volte i risultati sono scarsi.

Tutto questo presuppone, anche, modifiche sostanziali nella impostazione della struttura del bilancio della Comunità. A fronte di un bilancio preventivo, idoneo a consentire una facile lettura ed una valutazione preventiva delle voci di spesa in esso riportate, ci deve essere un bilancio consuntivo, che permetta un puntuale controllo delle spese sostenute, della loro destinazione e dei risultati ottenuti. Questo approccio implica necessariamente l’adozione di un bilancio, aggiuntivo a quello formale civilistico, seguito finora, che:

  • rispecchi in modo realistico e concreto la situazione finanziaria e contabile della Comunità, evitando di riportare poste esistenti solo sulla carta, come i crediti inesigibili;

  • permetta di rilevare facilmente la relazione tra le spese necessarie alla Comunità per funzionare e svolgere i suoi compiti derivanti dal Regolamento (vale a dire, quelle riguardanti il personale dipendente, i mezzi e gli strumenti in uso), e quelle relative ai servizi aggiuntivi destinati alla collettività e da essa richiesti ed approvati, come ad esempio quello sanitario estivo;

  • ripartisca le spese per centri di costo.

Quest’ultima distinzione è importante perché, in caso di mancato pagamento, la sanzione potrebbe essere limitata, ad esempio, alla sospensione dei servizi collettivi, evitando dispendiose procedure giudiziarie, che ha hanno sempre l’effetto di incrementare le spese generali, a carico di tutti, e che spesso non producono risultati, aggiungendo al danno anche la beffa.

Ferdinando Mulas


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